Cenni Storici di Vedeseta

Secondo una tradizione, recepita da piu' scrittori di case bergamasche, le prime a stanziarsi in Val Taleggio furono, attorno ai secoli IV e V, genti fuggitive dalle città e dai "paghi" della pianura, sotto la minaccia delle incalzanti orde barbariche. C'e' a questo proposito, chi parla invece, dell'usurpatore Massimo Silvano, il prefetto romano delle Gallie, che ribellatosi e "ucciso l'imperatore Graziano, entro' in Italia saccheggiando e bruciando case e paesi..." Siamo nel 383, o giu' di lì: i tempi, comunque, coincidono. Al sicuro nella valle, fuori mano e protetta da selve immense, i profughi costruite le prime baite (tége, in dialetto - dal latino "tectum", capanna - da cui taluno fa derivare "Taécc", Taleggio) e dissodati i terreni meno impervi, diedero principio alle comunità locali.

L'origine del Nome
L'ipotesi accennata, cioe' che le prime ad abitare la vallata fossero genti latine o comunque latinizzate, trova un suo fondamento anche nella etimologia del nome  Vedeseta. Questo infatti potrebbe trarre origine da "Veticetta" cioe' zona caratterizzata da macchie da "vitex"; arbusto conosciuto anche come agnocasto che vegeta in luoghi umidi e selvatici e produce fiori violacei e bianchi, oppure dal verbo "videre", che, riferito ai luoghi, assume il significato di "prospettare", essere bene esposto. Gli antichi villaggi davano avvio alle attività divenute in seguito tradizionale: l'agricoltura, l'utilizzazione dei boschi e, sopratutto, sfruttando gli ottimi pascoli delle fasce montane piu' alte, l'allevamento del bestiame, la pastorizia e la lavorazione del latte. Non e' da escludersi l'esistenza d'una certa forma primitiva di commercio, basata su scambi in natura, specie con la confinante Valsassina, ove presumibilmente si producevano artigianalmente attrezzi agricoli e ferri da taglio. Probabilmente la moneta corrente in Vedeseta era a quell'epoca rappresentata principalmente dallo stracchino (Taleggio), gia' a quei tempi giustamente rinomato. Tale uso doveva essere piu' che mai vivo anche mille anni dopo, se, nel 1378, le valli di Taleggio e di Averara, come narrano gli storici, versarono al loro Principe Bernabo' Visconti, Signore di Milano, quale tributo, 200 pesi di formaggio bene stagionato. Carlo Magno Per avere le prime notizie sicure occorre attendere l'epoca Carolingia, allorche', tra la fine del secolo VIII ed i primi anni del IX, il grande imperatore franco concesse in fondo al Vescovo di Milano, l'intera Valle Enna. Cio', d'altra parte, lo si ricava non da fonti originali, ma da strumenti notarili rogati in età posteriori, concernenti compravendite di immobili ubicati in Valle Taleggio. In detti atti e' costantemente ribadita la formula "salvo iure episcopatus Mediolani". Al periodo del Sacro Romano Impero e', pertanto riconducibile l'inizio dei rapporti politico-economici che legarono per secoli e pressoche' ininterrottamente questa piccola comunità alla metropoli lombarda. E' significativo rilevare che ancor oggi la Parrocchia di Vedeseta, ptrono S. Antonio Abate, dipende dall'arcidiocesi ambrosiana, appartenendo giurisdizionalmente alla vicaria foranea di Primaluna (Como).

I Comuni
Nei primi decenni del secolo XII la Valle Taleggio è popolata da comunità relativamente numerose ed amministrativamente organizzate. Il governo locale è demandato ad un giusdicente, eletto dagli abitanti "il quale in civile giudicava in qualunque somma, ed in criminale in qualsivoglia causa eccettuati i casi di omocidio o di grave importanza", essendo, questi ultimi, probabilmente riservati al giudice centrale di Milano. Da cio' desumibile che la comunità di Vedeseta godeva di una relativamente larga autonomia, in seguito confermata dagli altri governi succedutosi. A Vedeseta in quell'epoca funzionava una delle due Parrocchie erette nella valle. La chiesa era posta sull'altura di S. Bartolomeo, ove attualmente sorge l'omonimo santuario - ossario. L'altra era quella di Pizzino, dedicata a S. Ambrogio e risalente anteriormente al Mille: murata nel portichetto ubicato sul lato a notte della parrocchia di Pizzino, è ancor oggi visibile una pietra con sopra scalfita una croce romanica e con accanto in rilievo, traccia in rozzi caratteri, la cifra MX (1100?).

Le Signorie - Guelfi e Ghibellini
Nel 1237 - narra lo storico bergamasco Villa -I Milanesi sconfitti e vinti da Federico II, si rifugiarono in Valsassina, dove con ogni premura vennero accolti da Pagano della Torre, che in compenso, ebbe da essi la Signoria delle Valli Taleggio ed Averara. In seguito alle contese civili che insanguinarono lo stato milanese per il possesso della Signoria, Taleggio - continua il nostro autore - valle di spiriti per natura belligeri, non fu tarda a mettersi in discordia, abbracciando una parte dei suoi abitanti il partito Guelfo e l'altra il Ghibellino, dando cosi' inizio a continue lotte e discordie che ne pregiudicarono ogni possesso commerciale e industriale. Le famiglie Salvioni e Bellaviti e loro adepti di Taleggio aderirono ai Torriani (di parte Guelfa, con quello visconteo, uno dei casati piu' cospicui e potenti dell'aristocrazia lombarda), mentre gli Arrigoni ed i Quarteroni di Vedeseta, si schierarono con i Ghibellini a sostegno dell'Arcivescovo di Milano. Per meglio difendersi dagli assalti, le due opposte fazioni costruirono nella valle torri e castelli. Di torri a Vedeseta ce n'erano tre, Una, la piu' famosa, l'aveva fatta costruire, attorno al 1300, Orlando Arrigoni, autorevole esponente del ghibellismo orobico, sull'angolo settentrionale della sua casa. Esse, con ogni probabilità, doveva trovarsi nelle adiacenze dell'odierna parrocchiale, se e' vero che le sue pietre furono successivamente adoperate nella costruzione del vecchio campanile demolito dopo la costruzione dell'attuale. Dal nome del suo proprietario la chiamarono "Torre d'Orlando". Le altre due, allineate con la roccia dei Bellaviti che dominava la valle dalla corna di Pizzino, s'ergevano nei pressi di Reggetto. Questa ridente contrada, indubbiamente una delle piu' belle dell'intera valle, potrebbe infatti derivare la propria denominazione da "receptum", rifugio, ossia luogo dove, in caso di estremo pericolo poteva trovare riparo la popolazione. Le abitazioni del nuccleo piu' antico della frazione, al quale si accede per due sole strade, appaiono ancor oggi raggruppate senza soluzione di continuità per cui e' dato presumere che, in passato fossero probabilmente circondate da una muraglia di difesa. Anche quelli di Taleggio avevano le loro roccaforti. Oltre al castello di Pizzino, disponevano della torre detta "del Termine, sopra Peghera e di quella costruita a Sottochiesa dai Salvioni. Quest'ultima - di buona fattura romanica e dal 1913 protetta dalla Sovrintendenza regionale ai Monumenti - è l'unica ancora in piedi. Si racconta che vi si custodissero e vi torturassero i prigionieri politici.

Terra di Confini
La Valle Taleggio, a seguito degli avvenimenti appena ricordati, diviene zona di confini. La linea di demarcazione (rettifica in seguito piu' volte: la prima nel 1456 e l'ultima nel 1760, come testimoniano i numerosi "termini" in pietra visibili nella zona), spezza in due una comunità sostanzialmente unitaria, per usi, linguaggio, tradizioni. Tale situazione - di cui forse anche ai giorni nostri si risentono per certi apetti le conseguenze - duro' per oltre tre secoli e mezzo, fino alla caduta a Venezia. Il fatto di essere la valle un importante corridoio politico e strategico tra i due maggiori stati della Penisola reco' pero', innegabili vantaggi alle popolazioni. Si ha un incremento dei traffici da e per la Valsassina ed i Grigioni. La locale manodopera esorbitante puo' trovare lavoro nelle capitali e nei centri urbani dei rispettivi stati di appartenenza. Il porto di Venezia e' praticamente gestito da maestranze bergamasche, che sulla laguna esercitano anche il mestiere del carbonaio appreso sui monti natii. Brighella il dritto e Arlecchino, rattoppato e brioso esponente del sottoproletariato orobico immigrato, portano ancor oggi la nera mascherina a ricordo della antica professione. Sulla piu' importante via di comunicazione internazionale, quella che da Pizzino raggiunge Artavaggio, la contrada del Fraggio ora deserta, raggiunge notevole importanza, quale estremo posto confinario e di tappa, sul territorio di S. Marco. Mentre Taleggio rimane ininterrottamente veneto, Vedeseta segue le sorti dello Stato Milanese che, passato successivamente dai Visconti agli Sforza, diviene, alla fine del Quattrocento, dominio francese a seguito dei noti eventi conclusivi con la calata in Italia di Luigi XII. Sconfitti i francesi a Pavia, nel 1525 da Carlo V, i milanesi, e quindi i vedesetesi, divengono sudditi degli spagnoli e tali rimangono per quasi due secoli fino a quando, nel 1706, al termine della "guerra di successione di Spagna", la vittoria delle armi austriache su quelle galloispane li assegna al trono di Vienna. Il fatto che la zona sia presidiata da due probabilmente stabili guarnigioni militari, garantisce un certo ordine pubblico. Assai relativo, intendiamoci, perche' se delle passate fazioni non sussiste che la memoria, sono pur sempre presenti, in buon numero, briganti ed avventurieri solitari o rattruppati in masnada che, fatto il colpo, trovavano rifugio pressoche' inaccettabile nei boschi e sui monti. Ancora si racconta di quelli che defraudavano viandanti e viaggiatori al passaggio obbligato del Ponte dei Senesi, allora l'unico collegante le due sponde dell' Enna, ogni tanto, poi i due reparti venivano alle mani tra di loro: quello Veneto era accasermato a Sottochiesa nell'edificio ancora esistente in via S. Rosa conosciuto come "convento", mentre quello spagnolo prima ed austriaco poi doveva risiedere nella casa del Canto Alto, sul cui muro di cinta munito di feritoie inquadranti proprio il punto di confine tra Olda e Vedeseta, e' abbastanza bene conservato un affresco riproducente lo stemma del ducato milanese.

La Peste
Nei trecentocinquant'anni in esame non fu pero' tanto la guerra il malanno che piu' colpi' Vedeseta quanto le epidemie e la fame, l'una conseguenza dell'altra. La peste per antonomasia, qui come altrove rimane quella del 1630 descritta dal Manzoni. Essa, si sa fu portata in Italia dall'esercito mandato dall'Imperatore Ferdinando all'assedio di Mantova: uno dei tanti eventi della "guerra dei trent'anni". Le truppe formate da austriaci, tedeschi, croati, ungheresi e anche italiani - scesero per la Valtellina ed entrarono nello stato milanese. Il governo della Repubblica Veneta, informato che tra quei soldati raccogliticci serpeggiava il contagio, invio' propri militari lungo la linea di demarcazione per impedire eventuali sconfinamenti. Un distaccamento fu pure destinato in Valle Taleggio. Questo se riusci' a dissuadere i lanzichenecchi imperiali a compiere atti ostili contro il territorio, non pote' impedire che gli abitanti interrompessero i loro rapporti commerciali con quelli della Valsassina, terra abbondantemente infettata dalle bande alemanne per cui, ben presto, il morbo desolo' la vallata, spopolandola paurosamente. Molte delle vittime di Vedeseta vennero sepolte ad Avolasio nel luogo in cui fino a qualche tempo fa sorgeva una cappella dedicata a S. Ambrogio, detta appunto dei "Morti del Contagio".

Dalla Repubblica Cisalpina all'Unità
Nel 1797, con la vittoriosa campagna napoleonica in italia, cade la Serenissima. Taleggio e Vedeseta, entrate a far parte della Repubblica Cisalpina, ritrovano l'antica unità. Entrambe vengono amministrativamente assegnate alla pretura di S. Giovanni Bianco, mentre i giacobini della ultima ora cercano di mettersi in vista cancellando dalle lapidi il vecchio Leone dell' Evangelista e cassandolo perfino dalle logore carte d'ufficio. Con la restaurazione seguita alla sconfitta di Napoleone, i due Comuni, con i resto del Lombardo- Veneto, vengono compresi nell'impero Austro-Ungarico. Inizia cosi' la decadenza economica e politica della Valle la quale da importante regione di confine, si ritrova declassata ad oscura località, sperduta tessera nell'immenso mosaico del dominio asburgico. Questo, per altro con un' amministrazione autoritaria, ma provverbialmente onesta ed oculata, garantisce un cinquantennio se non di prosperità,  almeno di quiete e di ordine. Nel 1859, infine, conclusasi vittoriosamente la seconda guerra di indipendenza Vedeseta e Taleggio entrano definitivamente a far parte del regno d'Italia. Con la riconquistata liberta', Vedeseta assume nuovo impulso e, grazie, alla ben nota laboriosità della sua gente, dà l'avvio ad una lenta ma progressiva trasformazione sino a raggiungere, ai tempi nostri, nonostante la carenza di mezzi, un confortante assetto economico e sociale.

Vedeseta oggi
Vedeseta (mt 816 m.) è con quello limitrofo di Taleggio, uno dei due Comuni della valle omonima, il cui principale torrente, l'Enna e' affluente del Brembo. Dista n 42 km dal capoluogo di Bergamo, al quale e' collegata da un servizio giornaliero di autocorriera. Degli attuali suoi 257 abitanti - nel 1820 erano all'incirca 500 e n 679 nel 1894 - non pochi sono quelli rimasti fedeli ai mestieri, un tempo quassu' quasi esclusivamente praticati del contadino e dell'allevatore di bestiame; diversi gli occupati in imprese edili locali; sempre piu' numerosi coloro che stagionalmente o pendolarmente trovano lavoro nei centri industriali lombardi, in qualità di operai o muratori. I rimanenti sono dediti al commercio ed all'industria alberghiera. Ad Avolasio ed a Reggetto che, con la Lavina sono le maggiori frazioni periferiche. La solubrità dell'aria, l'altitudine ed il suggestivo paesaggio alpestre hanno fatto del paese una nota frequentata stazione climatica. Vedeseta e' posta infatti su di un declidio a prati e a boschi nel quale addolcisce le sue prime propaggini il contrafforte montuoso che serra a ponente la Valle Taleggio, separandola dalla Valsassina. Il turismo costituisce comunque l'unica valida risorsa, in grado non solo di sostituire proficuamente quelle originarie ormai insufficienti e procacciare cespiti per una esistenza piu' decorosa, ma anche - e conseguentemente - di frenare l'increscioso fenomeno dello spopolamento da tempo in atto. Assai utile sarebbe a tale scopo valorizzare le alpi comunali di Artavaggio. Tutto cio', naturalmente presuppone una aperta e coerente mentalità che certo non fa difetto alla popolazione.

Documentazione a cura del Dr. Bernardino Luiselli